Storia | L’italianità come pratica sociale della commemorazione.

Di Daniel Imfeld

“Anche se il concetto di cittadinanza che promuoveva l'élite governante dalle ultime decadi del secolo XIX cercasse di sopprimere le differenze culturali,linguistiche ed etniche, i gruppi di immigranti, nel frattempo, non solo crearono le proprie istituzioni, ma si proiettarono verso il pubblico attraverso la stampa nella loro lingua, l’assegnazione di nomi alle strade e agli spazi della città, la celebrazione delle loro feste patriottiche e il culto dei loro eroi. Così, mentre chi governava replicava con i tentativi di assimilazione, gli immigrati cercarono di mantenere i propri particolarismi; così il loro impegno di creare, inventare, riqualificare una tradizione storica, venne accompagnato anche dalla determinazione di stabilire il loro spazio con i suoi limiti.

La tradizione inventata, come dice Hobsbawm, si riferisce ad un insieme di pratiche generalmente regolate o tacitamente accettate e dotate di una natura rituale o simbolica, che cercano di inculcare determinati valori e norme di comportamento nelle quali è implicita la continuità del passato. 1

Questa invenzione di tradizioni anche nel mondo delle colonie agricole si avvalse di riferimenti a situazioni del passato, attraverso i dibattiti nel campo simbolico. Così tra gli italiani, la necessità di interpellare i propri connazionali e la loro discendenza, si avvalse frequentemente tanto della stampa etnica come delle feste nazionali. L'immagine della patria, associata al mito patriottico, emergeva allora con tutta la sua forza, particolarmente il 20 settembre, poiché, come dice Dore, anche la più sperduta colonia pubblicava un manifesto per la data e la festeggiava in modo solenne con spari a salve all'alba, banchetti coloniali o cosmopoliti e cortei civici.2



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